Nel periodo delle abbuffate e dei bagordi, le nuove regole sull’attività motoria e sportiva in zona rossa (dal 24, 25, 26, 27 e 31 dicembre e 1, 2, 3, 5 e 6 gennaio).

L’attività motoria e sportiva (intesa non come sport di contatto ma attività sportiva individuale) è anzitutto consentita nel rispetto del coprifuoco: si potrà uscire solo dalle 5.00 alle 22.00.

Lo sport all’aperto (correre o andare in bici) è consentito senza mascherina e solo in forma individuale (niente allenamenti di gruppo od uscite collettive), mantenendo i 2 metri di distanza e senza uscire dal proprio comune di residenza o domicilio.

E le passeggiate? Sono consentite in quanto considerate attività motoria, ma restando nei pressi della propria abitazione. È possibile passeggiare anche tra conviventi ma senza mai creare assembramenti ed indossando la mascherina.

Rimangono chiuse palestre e le piscine, sono vietati gli sport di contatto (anche all’aperto) e sono chiusi i centri sportivi.

Nei giorni di zona arancione (dal 28 al 30 dicembre ed il 4 gennaio) restano vietati gli sport di contatto e si può svolgere l’attività sportiva e motoria anche presso centri e circoli sportivi all’aperto, sia pubblici sia privati.

Pertanto in questi giorni si potrà giocare a tennis ed a padel, sport praticabili nei centri sportivi all’aperto predisposti per queste attività.

Rimane sempre sospesa l’attività di palestre, piscine, centri natatori, centri benessere e centri termali, “fatta eccezione per l’erogazione delle prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza e per le attività riabilitative o terapeutiche”.

Le nuove regole normative, comunque indifferenti per gli amanti dello sport da divano, le ricaviamo dal combinato disposto del recentissimo D.L. 18.12.2020 n. 172 e del D.P.C.M. del 3.12.2020.

Vi auguriamo tanta attività sportiva e motoria, non solo a tavola, ma soprattutto all’aperto!

L’art. 183 del Decreto Rilancio, nell’ultima bozza del 13 maggio (la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale sembrerebbe prevista per lunedì 18 maggio) introduce il “tax credit vacanze”: un sostegno economico fino a 500 euro, sotto forma di sconto diretto e detrazione fiscale, per le famiglie a reddito medio-basso da spendere nelle strutture turistico-ricettive italiane tra il 1 luglio e il 31 dicembre 2020.

La misura ha il duplice obiettivo di sostenere il turismo, tra i settori più colpiti dal coronavirus, ed al contempo fornire un po’ di ossigeno alle famiglie i cui redditi sono stati inghiottiti dallo stop alle attività.

 

REQUISITI

Il bonus vacanze 2020 è riservato alle famiglie con reddito medio basso, ovvero con Isee inferiore ai 40.000 euro, anziché 35.000 come inizialmente previsto.

Il contributo è previsto per spese sostenute in servizi offerti in ambito nazionale dalle imprese turistico ricettive (alberghi, campeggi, villaggi) nonché dagli agriturismi e bed &breakfast in possesso dei titoli prescritti dalla normativa nazionale e regionale per l’esercizio dell’attività turistico ricettiva.

 

A CHI SPETTA

Il bonus è proporzionato al numero dei membri del nucleo familiare ed è previsto in tre forme:

  • 500 euro per le famiglie con 3 o più componenti;
  • 300 euro per le famiglie con 2 componenti;
  • 150 euro per le famiglie con 1 componente.

Quindi, oltre alle famiglie, intese nel senso di famiglie anagrafiche, ovvero composte anche da persone conviventi non legate da un vincolo matrimoniale, anche i single rientrano nella platea dei potenziali beneficiari e l’assegno nel loro caso si riduce a 150 euro.

 

COME FUNZIONA E COME EFFETTUARE I PAGAMENTI

Il “tax credit vacanze” è un credito, relativo al periodo d’imposta 2020, fruibile esclusivamente nella misura dell’80 per cento, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto (che all’esercente sarà rimborsato dal fisco con uno specifico credito d’imposta) mentre, il restante 20 per cento è riconosciuto in forma di detrazione d’imposta in sede di dichiarazione dei redditi.

Il pagamento deve avvenire in modo tracciabile, dunque con fattura elettronica o documento commerciale, con indicazione del codice fiscale del soggetto che intende fruire del credito.

Il credito è utilizzabile da un solo componente per nucleo familiare e le spese devono essere sostenute in unica soluzione in relazione ai servizi resi da una singola impresa turistico ricettiva, pertanto il bonus non è frazionabile.

 

NO ALLE PRENOTAZIONI TRAMITE BOOKING, AIRBNB O ALTRE PIATTAFORME DIGITALI

Nell’art. 183, al comma 3, della bozza del decreto rilancio si legge che, a pena di decadenza, il pagamento del servizio deve essere corrisposto senza l’ausilio, l’intervento o l’intermediazione di soggetti che gestiscono piattaforme o portali telematici diversi da agenzie di viaggio e tour operator.

Ciò significa che per poter fruire del contributo la prenotazione deve avvenire direttamente con la struttura turistica od al più tramite agenzie di viaggio e tour operator.

 

DURATA E TIPOLOGIA DI VACANZA

Il bonus può essere utilizzato dal 1° luglio al 31 dicembre 2020 e senza limitazione alcuna rispetto alla tipologia di vacanza, in quanto l’unico riferimento previsto è relativo ai servizi offerti che devono essere resi in ambito nazionale dalle imprese turistico ricettive, nonché dagli agriturismi e dai bed &breakfast.

Per cui il bonus vacanza 2020 sembrerebbe valere non solo per le vacanze estive, ma anche per quelle invernali da godersi comunque entro e non oltre il 31 dicembre 2020.

Si badi però: il credito è fruibile per una sola volta, per cui “aut aut”, o la vacanza al mare oppure la settimana bianca.

 

Studio Legale Liberatore (Avv. Domenico Liberatore) – articolo redatto il 14.05.2020.

CORONAVIRUS: CHI SONO I CONGIUNTI? SONO TUTTI I PARENTI? E I FINDANZATI?

Con il recente D.P.C.M. del 26 aprile 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 27 aprile 2020, già in vigore per alcune disposizioni, dal 4 maggio 2020 ci si potrà allontanare di casa per incontrare i congiunti nell’ambito della propria regione.

Ma chi sono i congiunti? Occorre un vincolo di sangue o legale (matrimonio) per potersi spostare? Oltre a parenti e familiari, anche i fidanzati o compagni rientrano in questa categoria? I cugini sono congiunti? E le famiglie allargate come si collocano?

L’argomento ha conquistato milioni di click su google ed attualmente risulta uno dei più controversi e dibattuti.

Proviamo a fare chiarezza.

 

COSA PREVEDE IL D.P.C.M. DEL 26 APRILE 2020?

L’art. 1, comma 1 del D.P.C.M. 26 aprile 2020 (Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale) prevede che, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID19 sull’intero territorio nazionale, si applicano le seguenti misure:

  1. a) sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento e il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie;
  2. i) […] sono consentite le cerimonie funebri con l’esclusiva partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di quindici persone […].

 

COSA PREVEDE INVECE LA LEGGE?

Il codice civile italiano non contempla l’espressione congiunti ma fa riferimento soltanto a parenti ed affini.

I “prossimi congiunti” sono però chiaramente definiti dall’art. 307, comma 4, del codice penale, secondo cui si ritengono tali: “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra le persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti” mentre non si comprendono “gli affini allorché sia morto il coniuge o non vi sia prole”.

Inoltre, l’art. 649 del codice penale estende la nozione congiunti anche al coniuge non legalmente separato, all’adottato e all’adottante.

Si badi: la validità di questa definizione, per espressa definizione normativa, è limitata alla sola legge penale.

Per cui, volendo mutuare l’unico riferimento normativo in materia, sono congiunti:

  • i consanguinei legati da ascendenza e discendenza, come genitori e figli, nonni e nipoti (cd. parenti in linea retta)
  • chi ha legami orizzontali, come fratelli e sorelle (cd. parenti in linea collaterale),
  • il coniuge;
  • i soggetti, anche dello stesso sesso, uniti civilmente;
  • gli affini, ovvero i cosiddetti parenti acquisiti: suoceri, generi, nuore, cognati.
  • coloro che hanno un rapporto di adozione.

 

CONGIUNTO SECONDO IL DIZIONARIO DELLA LINGUA ITALIANA

Secondo i vari dizionari della lingua italiana la parola congiunto significa unito, legato, consanguineo.

Per il dizionario Treccani il sostantivo maschile congiunto deriva dal latino coniunctus, participio passato di coniungĕre, e significa parente.

E dunque, linguisticamente parlando il termine è assai generico.

 

IL CHIARIMENTO DEL GOVERNO: ANCHE FIDANZATI ED AFFETTI STABILI

In seguito alle numerose critiche ricevute per aver utilizzato un termine apparentemente discriminatorio, Palazzo Chigi, cercando di correggere il tiro, il 27 aprile 2020 ha chiarito che nella definizione congiunti rientrano anche “fidanzati e affetti stabili”.

 

E GLI AMICI SI POSSONO INCONTRARE?

Il Premier Conte, nelle dichiarazioni rese in prefettura a Milano il 27 aprile 2020 aveva precisato “non si potrà andare in casa altrui a trovare amici, a fare feste. Si potrà andare da parenti e persone con cui si hanno stabili relazioni affettive ma non è incontriamoci e facciamo feste perché, lo ricordo, un quarto dei contagi avviene nelle abitazioni private

Tuttavia, il Vice-Ministro della Salute, Pierpaolo Sileri, il 30 aprile 2020, aveva inizialmente affermato che “anche un’amicizia è un affetto stabile, a volte chi si sposta da una città all’altra stabilisce degli affetti con degli amici che sono spesso migliori di quelli con alcuni familiari, diciamoci la verità”.

Lo stesso Sileri, probabilmente resosi conto della clamorosa interpretazione iper-estensiva attribuita al termine congiunto, aveva poi dovuto, nella stessa serata del 30 aprile 2020, ridimensionare quanto in precedenza asserito, precisando: “Si può parlare di affetto stabile, se si tratta di un partner o dell’unica persona cara che abbiamo in città”.

 

MA QUAL E’ LA CORRETTA INTERPRETAZIONE DI CONGIUNTI?

A ben vedere, l’espressione congiunti non è né giuridicamente né linguisticamente chiara e presta il fianco a differenti letture interpretative.

Senza pretese di esaustività, riteniamo che, anzitutto, possa essere accolta la nozione legislativa di prossimi congiunti, così come enucleata nell’elenco di cui sopra e comprensiva di: genitori, figli, nonni, nipoti, fratelli, sorelle, coniuge, uniti civilmente anche dello stesso sesso, suoceri, generi, nuore, cognati, adottato e adottante.

Una nozione che, tuttavia, sembrerebbe escludere i cugini in quanto, seppur parenti, non rientranti tecnicamente nel cono d’ombra della categoria congiunti.

Nondimeno, il D.P.C.M. del 26 aprile 2020, nella mancata utilizzazione dell’aggettivo “prossimi”, differentemente dalla legislazione italiana, cela l’intento di voler abbracciare un’accezione ampia del termine congiunti, e ciò sicuramente anche in linea con la garanzia costituzionale di riconoscere i eguali diritti a tutte le formazioni sociali.

Per cui, si ritiene che il termine congiunti vada equiparato in senso giuridico alle categorie di parenti ed affini, come definite nel codice civile, così da ricomprendere anche i cugini, nonché complessivamente tutti i parenti ed affini entro il sesto grado (tra cui, ad esempio, anche i figli del cugino, gli zii dei genitori, i cugini del coniuge, il bisnonno, etc.).

Sempre in quest’ottica, nonché sulla scia dei chiarimenti del Premier Conte, che ha sostanzialmente valorizzato i legami affettivi saldi e duraturi, anche coloro che non sono legati da un vincolo affettivo giuridicamente rilevante, ovvero non certificato né da un matrimonio né da una forma di unione civile, cioè fidanzati e coppie di fatto, devono ritenersi beneficiari del neo introdotto di diritto di visita.

E, seppur difficile appare la dimostrazione dell’unione di vita e di affetti che giustifica lo spostamento dal partner, segnaliamo che, per la giurisprudenza, la stabilità del rapporto potrebbe desumersi dalla comunanza di beni immobili, auto, conti correnti, mutui, utenze domestiche, etc.

Per quanto riguarda infine le visite agli amici riteniamo che siano assolutamente vietate. Contrariamente, l’eccessiva estensione della latitudine interpretativa del termine congiunti svuoterebbe la norma di significato.

 

E SE I CONGIUNTI SI TROVANO IN UN’ALTRA REGIONE?    

La vista ai congiunti è consentita soltanto entro i limiti della regione di appartenenza.

Le uniche motivazioni per potersi spostarsi in una regione diversa rispetto a quella in cui ci si trova rimangono per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.

 

SERVE L’AUTOCERTIFICAZIONE PER INCONTRARE I CONGIUNTI? E COSA SCRIVERCI?

Come già affrontato in un precedente articolo, non esiste un obbligo di portare con sé l’autocertificazione; tuttavia ciò non esime il cittadino dal dichiarare i motivi dello spostamento.

Ad oggi, in mancanza di informazioni ufficiali, sembrerebbe essere intenzione del Governo non introdurre una nuova autocertificazione, ma “adattare” le indicazioni operative al modello già in uso, per non creare ulteriore confusione sui modelli di autocertificazione.

Le voci di corridoio che arrivano da Palazzo Chigi e dal Viminale sostengono che, in caso di visita ai congiunti, non sarà necessario indicarne le generalità e basterà barrare la casella (o semplicemente dichiarare) delle “visite a congiunti” anche senza motivi di urgenza e si dovrebbe passare il controllo delle forze dell’ordine senza rischiare una multa.

Tale indiscrezione però non ci convince: così operando, si creerebbe un comodo passe-partout, per cui la regola, già assai permissiva, diventerebbe facilmente eludibile ed ogni possibilità di verifica verrebbe di fatto annientata.

Auspichiamo pertanto, al di là delle attese ed ormai imminenti delucidazioni da parte dell’Esecutivo, che il senso di responsabilità di tutti noi possa dettare il giusto criterio da seguire.

Studio Legale Liberatore (Avv. Domenico Liberatore) – articolo redatto il 30.04.2020.

MULTE CORONAVIRUS ILLEGITTIME, SARANNO CONDONATE? E COME CONTESTARLE?

La passeggiata nei pressi dell’abitazione o addirittura gli spostamenti per esigenze lavorative o per esservi recati in farmacia o dal medico sono stati sanzionati perché ritenuti ingiustificati e non necessari?

Vediamo come, quando e dove contestare le sanzioni amministrative emesse per violazione delle misure di contenimento del rischio epidemiologico previste dall’art. 1 del D.L 19/2020.

Le molte inesattezze circolate in questo periodo, sia in diverse trasmissioni televisive nazionali di informazione che nei social network, dove abbiamo più volte sentito e letto circa la possibilità di ricorrere alternativamente al Giudice di Pace (entro 30 giorni) o al Prefetto (entro 60 giorni) ci impongono di fare chiarezza sul tema.

Innanzitutto, ricordiamo che l’art. 4 del D.L. 19/2020 prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento previste dall’articolo 1, comma 2, è  punito  con   la   sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano più le sanzioni penali previste dall’articolo 650 c.p.; qualora il  mancato  rispetto  delle  predette  misure  avvenga mediante l’utilizzo di un veicolo, le sanzioni sono aumentate  fino  a un terzo.

L’accertamento e la constatazione della violazione seguono le procedure previste dalla L. 689/1981.

Ciò vuol dire che, contro il verbale di contestazione di questo tipo di violazioni, non è ammissibile il ricorso al Giudice di Pace o il ricorso al Prefetto.

Difatti, come immediato ed unico strumento di autotutela, è prevista la possibilità, entro 30 giorni dalla data della contestazione o dalla notificazione della violazione (termine tuttavia attualmente sospeso sino all’11 maggio 2020), di inoltrare al Prefetto del luogo ove è avvenuta la contestazione scritti difensivi (da non confondere con il ricorso) ed allegazioni documentali e chiedere eventualmente l’audizione personale.

Se il Prefetto, sentito l’interessato – ove questi ne abbia fatto richiesta – ed esaminati i documenti  e gli argomenti esposti negli scritti difensivi, riterrà fondato l’accertamento della violazione, emetterà ordinanza-ingiunzione, determinando la somma dovuta per la violazione; altrimenti, emetterà ordinanza motivata di archiviazione.

Si badi bene che il Prefetto ha termine di ben 5 anni dalla violazione per poter emettere ordinanza-ingiunzione.

Soltanto contro l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto, sarà poi possibile, entro il termine perentorio di 30 giorni decorrenti dalla notificazione, ricorrere al Giudice di Pace: il giudizio si svolgerà secondo le regole e secondo modalità previste dal D.Lgs. 150/2011.

Quanto ad eventuali possibilità di condono, escludiamo per ora che ciò possa avvenire, in quanto verrebbero a crearsi delle evidenti disparità di trattamento con tutti coloro che invece avranno già pagato le comminate sanzioni.

Per cui, concludendo, consigliamo a chi sia stato destinatario di un verbale di violazione delle norme sul contenimento del rischio epidemiologico e ritenga illegittimo l’accertamento (per esempio, passeggiata nei pressi della propria abitazione, spostamento per recarsi dal medico o per esigenze lavorative etc), di inoltrare al Prefetto territorialmente competente, a mezzo di raccomandata A/R oppure a mezzo PEC, una memoria difensiva (con eventuali prove documentali), esponendo le proprie ragioni e chiedendo di essere sentiti: il Prefetto potrebbe accogliere le vostre ragioni ed archiviare l’accertamento.

Se il Prefetto dovesse emettere ordinanza-ingiunzione, non perdetevi d’animo: avrete sempre la possibilità di ricorrere al Giudice di Pace e far valere le vostre ragioni davanti ad una autorità terza ed imparziale.

Il nostro staff è a disposizione per qualsiasi chiarimento e supporto.

Studio Legale Liberatore (in collaborazione con l’Avv. Michele Livani) – articolo redatto il 17.04.2020.

AUTOCERTIFICAZIONE COVID 19: E’ DAVVERO OBBLIGATORIA? POSSO RIFIUTARMI DI FIRMARLA?

Nell’attesa che la ormai famosa autocertificazione venga resa digitale, alcune utili delucidazioni.

Da quando il Governo ha varato le nuove disposizioni che limitano gli spostamenti su tutto il territorio nazionale a causa dell’emergenza Coronavirus, per non incorrere in sanzioni, fino al 31 luglio 2020 (termine massimo delle misure di restrizione, salvo anticipazioni) bisogna compilare un’autocertificazione soggetta a verifica dalle autorità dove attestare i motivi che giustificano l’allontanamento dal proprio domicilio.

L’autocertificazione è davvero obbligatoria? In verità no, e scopriamo perché.

 

ANZITUTTO, COS’È L’AUTOCERTIFICAZIONE?

E’ una dichiarazione, prevista dagli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 28.12.2000 per alleggerire il carico amministrativo e burocratico, che sostituisce alcune certificazioni amministrative, attestante stati, qualità personali o altri fatti, come ad esempio data e luogo di nascita, residenza, cittadinanza, godimento dei diritti civili e politici, stato di famiglia etc..

Ecco perché si chiama anche “dichiarazione sostitutiva”.

L’autocertificazione, redatta e sottoscritta dall’interessato, sostituisce i certificati senza che ci sia necessità di presentare successivamente il certificato vero e proprio e la pubblica amministrazione ha l’obbligo di accettarla, riservandosi la possibilità di effettuare verifiche e sanzionare eventuali false dichiarazioni.

 

AUTOCERTIFICAZIONE COVID 19: QUALI INFORMAZIONI FORNIRE?

Il D.L. 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19), nel confermare le precedenti disposizioni e dando vita al quarto modello di autodichiarazione, valido dal 26 marzo 2020, ha ribadito e precisato che vi è l’obbligo di dichiarare:

  • di non essere sottoposto alla misura della quarantena ovvero di non essere risultato positivo COVID-19;
  • l’indirizzo da cui è iniziato lo spostamento e quello di destinazione;

e che ci può spostare solo per:

  • comprovate esigenze lavorative;
  • motivi di salute;
  • situazione di necessità, rispetto alla quale è stato precisato “per spostamenti all’interno dello stesso comune o che rivestono carattere di quotidianità o che, comunque, siano effettuati abitualmente in ragione della brevità delle distanze da percorrere”;
  • assoluta urgenza per trasferimenti in comune diverso;

 

NON HO LA STAMPANTE, L’AUTOCERFICAZIONE POSSO SCRIVERLA A MANO?

Certamente sì.

Non esiste alcuna norma che impone l’obbligo di stampare a casa l’autocertificazione, o men che meno di recarsi altrove per stamparla.

L’autocertificazione si può anche scrivere a penna, copiando su un foglio tutte le indicazioni contenute sul modello fornito dal Ministero dell’Interno, od altrimenti in caso di controllo, saranno le forze dell’ordine a fornirci un modulo da compilare.

 

AUTOCERTIFICAZIONE DIGITALE: POSSO MOSTRARE LO SMARTPHONE?

No, ma ci auguriamo arrivi presto un app ufficiale per questa ulteriore modalità auto dichiarativa che al momento non è prevista in quanto l’autocertificazione deve essere firmata, per cui non è possibile mostrarla al cellulare.

Inoltre, i vari siti internet che offrono il servizio on line potrebbero utilizzare i dati forniti dal cittadino per scopi ben diversi.

 

L’AUTOCERTIFICAZIONE SERVE ANCHE A PIEDI?

Riguarda ogni tipo di spostamento: auto e moto, mezzi pubblici, bicicletta ma anche a piedi.

Con la differenza che, se il mancato rispetto delle misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo, le sanzioni sono aumentate fino a un terzo.

 

L’AUTOCERTIFICAZIONE È DAVVERO OBBLIGATORIA?

In molti abbiamo sinora creduto che circolare senza autocertificazione fosse un comportamento vietato dal decreto governativo e sanzionabile. Ma non è così.

Contrariamente alle notizie che rimbalzano in rete ormai da diverso tempo ed alle diffuse dicerie popolari, l’autocertificazione non è obbligatoria.

L’art. 4 del D. L. 25 marzo 2020, n. 19, punisce soltanto il mancato rispetto delle misure di contenimento e non la mancata esibizione dell’autocertificazione.

Per cui, ai fini della responsabilità, la compilazione del modulo auto-dichiarativo è ininfluente; ciò che conta è dichiarare i motivi dello spostamento.

Le ragioni che giustificano l’allontanamento dal proprio domicilio, una volta consentita la propria identificazione, ben possono essere dichiarate a voce agli operanti, i quali potranno verbalizzare la risposta e trarne le conseguenze.

L’autocertificazione, che comunque i pubblici ufficiali sono obbligati ad accettare onde evitare di incorrere nella violazione dei doveri d’ufficio, è sicuramente un modo pratico ed utile per accelerare i tempi e per agevolare i controlli.

Per cui siate collaborativi.

 

POSSO RIFIUTARMI DI FIRMARE IL MODULO DI AUTOCERTIFICAZIONE?

La tentazione potrebbe colpire coloro che vengano fermati fuori di casa in assenza di un valido motivo per uscire.

Ebbene sì, posso rifiutarmi di firmare l’autocertificazione.

Ma con un’accortezza: se voglio evitare sanzioni devo comunque esporre le ragioni dello spostamento in quanto il presupposto dell’illecito non è tanto il rifiuto di sottoscrivere o compilare l’autocertificazione (che costituisce solo un mezzo per accertare l’infrazione), bensì il rifiuto di fornire indicazioni circa le ragioni del proprio spostamento.

E va da sé che il rifiuto di rispondere sul motivo dell’allontanamento da casa equivale a non avere alcuna ragione valida per essere uscito di casa. Per cui, non utilizzate questo espediente.

In conclusione, le violazioni sanzionabili sono integrate dai seguenti comportamenti:

  • rifiutarsi di esporre le ragioni dello spostamento;
  • uscire di casa per ragioni diverse da quelle previste;
  • dichiarare il falso sulle ragioni dello spostamento.

Ad ogni modo, al fine di evitare ogni equivoco portate sempre con voi l’autocertificazione e collaborate con le forze dell’ordine.

 

QUALI SONO LE SANZIONI?

Il D.L. prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 400,00 a 3.000,00 euro e non si applicano più le sanzioni penali previste dall’articolo 650 c.p.

Infine, se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo.

Studio Legale Liberatore (Avv. Domenico Liberatore) – articolo redatto il 10.04.2020.

 

Che cosa s’intende per “resta consentita l’attività motoria soltanto in prossimità della propria abitazione”?

Posso camminare vicino casa? E quanto mi posso allontanare? E se corro o vado in bici, mi posso allontanare di più?

A seguito delle numerose richieste di chiarimento cerchiamo di dare qualche risposta, sebbene il consiglio è pur sempre quello di restare a casa.

Il D.P.C.M. del 9 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimentoha previsto che “lo sport e le attività motorie svolti all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro”.

Successivamente, l’Ordinanza del Ministero della Salute, Roberto Speranza, del 20 marzo 2020 (Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 73 del 20 marzo 2020, ha stabilito che:

  1. a) è vietato l’accesso del pubblico ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici;
  2. b) non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; resta consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché’ comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona.

Sul tema era intervenuto anche il Premier Conte il quale, in un’intervista a La Stampa resa il 22.03.2020, aveva affermato: “chi volesse svolgere attività motoria all’aperto deve farlo da solo e in prossimità della propria abitazione”, specificando: “L’attività motoria contribuisce al nostro benessere psicofisico. In questo momento, però, non può rappresentare un’occasione di ritrovo o di visita di altri quartieri allontanandosi dal proprio”.

In seguito, il Ministero dell’Interno con la circolare del 31.03.2020, volta a chiarire alcuni aspetti sui divieti in vigore, distinguendo in modo arzigogolato attività motoria da attività sportiva, sembrava aver vietato il jogging: “l’attività motoria generalmente consentita”, come fare una passeggiata con i propri figli, “non va intesa come equivalente all’attività sportiva (jogging)”.

Tuttavia, la stessa sera del 31 marzo, alle 19.47, il Viminale, per rimediare al trambusto causato dalla sua circolare, faceva dietrofront, postando un tweet in cui si affermava: «è consentita l’attività sportiva (#jogging) e l’attività motoria (#camminata) nei pressi della propria abitazione».

Dunque, a parte l’ultima défaillance normativa, una cosa appare certa: l’attività motoria/sportiva all’aperto, purché svolta nel rispetto delle misure di contenimento, è consentita, fatta salva però l’esistenza, a livello locale (regionale o comunale) di provvedimenti derogatori più restrittivi, taluni dei quali citeremo di seguito.

Ad ogni modo, nel ginepraio normativo, in mancanza di specifiche indicazioni chiarificatrici, l’unico nodo interpretativo che ha aperto molteplici diatribe avvolge il concetto di “prossimità alla propria abitazione” per l’attività motoria.

Anzitutto, per espresso divieto non è più possibile andare a correre liberamente nelle ville, nei parchi e nei giardini pubblici (ovviamente quelli aperti perché non recintabili) anche se posti nelle vicinanze della propria abitazione.

Per abitazione, a cui il riferimento spaziale è inscindibilmente legato, deve intendersi il luogo in cui si sta dimorando e da cui ci si è allontananti per l’esercizio dell’attività sportiva, a prescindere dalla residenza o dal domicilio che possono situarsi nel medesimo luogo od altrove.

Il secondo parametro interpretativo attiene invece alla nozione di “prossimità” intesa come vicinanza. Un criterio alquanto astratto che rimesso ai variabili canoni di giudizio soggettivi, non può che creare evidenti situazioni di disparità tra i cittadini.

La regola applicabile dagli organi di Polizia potrebbe far riferimento ad una distanza compresa tra i 200 metri ed i 1.000 metri, variabile a seconda della tipologia di sportivo (camminatore, runner o ciclista) e quindi della capacità di spostamento ed in ragione delle proprie potenzialità fisiche.

Tuttavia, in una situazione di simile incertezza normativa, risultando il criterio dettato troppo discrezionale, la regola da seguire rimarrebbe sempre il buon senso.

A Parigi, ad esempio, oltre ai limiti orari (l’attività motoria è vietata dalle ore 10.00 alle ore 19.00) è concesso praticare attività sportiva nel raggio di un 1 km dalla propria abitazione e per una durata massima di un’ora, con l’obbligo di portare con sé l’autocertificazione recante l’orario di uscita.

Una specifica soluzione, seppur nel proprio ambito domestico, è stata dettata da alcuni enti locali con l’emanazione di atti normativi integrativi ingenerando tuttavia ulteriore confusione e disomogeneità sul tema.

In Lombardia, l’attività motoria è consentita nelle immediate vicinanze dell’abitazione e comunque a distanza non superiore a 200 metri, nel rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro.

In Campania, come anche in Sicilia, sono state emesse misure molto stringenti con il divieto esplicito ed assoluto di praticare attività sportive all’aperto anche in forma individuale.

In Emilia-Romagna, con le ordinanze del 18, 19 e 20 marzo 2020, come anche in Val d’Aosta, con ordinanza valida sino al 13 aprile ma prorogabile, sono state inasprite le restrizioni disponendo anche il divieto di attività motoria, se non nei pressi della propria abitazione, ma solo dovuto a ragioni di salute o per esigenze fisiologiche del proprio animale di compagnia.

In Veneto, dove si prevede un allentamento della misura a partire dal 14.04.2020, era stato già precedentemente stabilito che per fare la spesa o portare fuori il cane non ci si poteva allontanare più di 200 metri da casa.

Nelle Marche, l’ordinanza n. 21 del 2020, prevede che l’attività motoria (passeggiata per motivi di salute) è consentita nei pressi dell’abitazione.

In Piemonte, l’ordinanza n. 36 del 3 aprile 2020, prevede che sono consentite solo brevi uscite nei pressi della propria abitazione e solo entro una distanza massima di 200 metri.

In Sardegna, l’ultima ordinanza operativa dal 4 aprile 2020, vieta espressamente l’attività motoria di qualsiasi natura.

Il Sindaco di Torino, di concerto con il Prefetto e le Forze dell’ordine, ha stabilito che, in attesa di istruzioni da parte del Governo, si può praticare attività motoria entro 1 km di distanza.

Il Sindaco di Cremona, con ordinanza n. 105 del 21 marzo, per motivi contingibili e urgenti, ha stabilito che l’attività motoria e l’accompagnamento del cane di compagnia sono consentiti solo in prossimità della residenza o dimora, ovvero a distanza non superiore a 300 metri dalla stessa.

Il Sindaco di Colleferro, con ordinanza n. 63 del 21 marzo 2020, ha stabilito che per prossimità si deve intendere 500 metri.

E’ dunque evidente che, nel particolare e delicato contesto emergenziale del momento, laddove il cittadino già in condizioni di fragilità emotiva risulta sempre più smarrito, per non creare confusione, sarebbe stato opportuno fornire un’indicazione precisa in termini di distanza, dando così un senso di omogeneità su tutto il territorio nazionale e garantendo una uniforme applicazione delle norme.

Tuttavia, è utile rammentare che l’attività motoria riduce il rischio di contrarre infezioni in quanto rafforza il sistema immunitario e favorisce la salute mentale e, nondimeno, aiuta a ridurre la pressione sul servizio sanitario nazionale.

E che sia pur sempre praticata responsabilmente e rigorosamente da soli.

Studio Legale Liberatore (Avv. Domenico Liberatore) – articolo redatto il 7.04.2020.

L’istituto della prescrizione.

Con la legge n. 3 del 2019 (c.d. legge spazzacorrotti) è stata disposta, a partire dal 1° gennaio 2020, la sospensione del decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.

La prescrizione del reato, disciplinata dagli artt. 157 e seguenti del codice penale, è la rinuncia dello Stato a far valere la propria pretesa punitiva, in considerazione del tempo trascorso dalla commissione del reato.

In sostanza, l’ordinamento giuridico, che attribuisce rilevanza al decorrere di un certo periodo di tempo (variabile a seconda del tipo di reato), perde il diritto di punire quel fatto di reato se, entro i prefissati limiti di tempo, non si è riusciti a concludere definitivamente un procedimento penale.

Secondo la Corte costituzionale (sent. n. 143/2014), si tratta di un istituto di natura sostanziale (sent. n. 324/2008 e n. 393/2006), la cui ratio si collega sia all’interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato, l’allarme della coscienza comune (sent. n. 393/2006 e n. 202/1971, ord. n. 337/1999), sia al “diritto all’oblio” dei cittadini, quando il reato non sia così grave da escludere tale tutela (sent. n. 23/2013)

A partire dalla legge n. 251 del 2005 (cd. ex Cirielli), per determinare il tempo necessario a prescrivere un reato si fa riferimento alla pena massima prevista per il reato stesso, con due limiti: nel caso di delitto, il tempo non può mai essere inferiore ai 6 anni; nel caso di contravvenzione, non può mai essere inferiore a 4 anni.

La riforma Orlando (legge n. 103 del 2017)

 La disciplina della prescrizione è stata significativamente innovata dalla c.d. riforma Orlando che ha in particolare ampliato i casi di sospensione del corso della prescrizione, prevista dall’art. 159 del codice penale, stabilendo, in primo luogo:

  • per quanto riguarda la richiesta di autorizzazione a procedere, che il termine di sospensione inizia a decorrere dal provvedimento con il quale il PM presenta la richiesta e finisce il giorno in cui la richiesta è accolta; è conseguentemente disposta l’abrogazione del secondo comma dell’art. 159 che attualmente disciplina tale ipotesi;
  • per quanto riguarda il deferimento della questione ad altro giudizio, che il termine è sospeso fino al giorno in cui viene decisa la questione.

All’art. 159 c.p., sono state poi introdotte ulteriori ipotesi di sospensione del corso della prescrizione:

  • per richiesta di rogatoria all’estero; il termine massimo di sospensione è pari a 6 mesi dal provvedimento che dispone la rogatoria;
  • dal termine per il deposito della motivazione della sentenza di condanna in primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, fino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il grado successivo, e comunque per un tempo non superiore a un anno e sei mesi;
  • dal termine per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, fino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, e comunque per un tempo non superiore a un anno e sei mesi.

In relazione alle due ultime ipotesi, la disposizione precisa che i periodi di sospensione del corso della prescrizione ivi previsti vengano ricomputati ai fini del calcolo del termine di prescrizione:

  • in caso di proscioglimento dell’imputato nel grado successivo,
  • ovvero di annullamento della sentenza di condanna nella parte relativa all’accertamento della sua responsabilità,
  • ovvero di dichiarazione di nullità della decisione (in alcune specifiche ipotesi previste dall’art. 604 c.p.p.) con conseguente restituzione degli atti al giudice.

Peraltro, in caso di concorso tra la causa di sospensione dovuta alle condanne nei gradi di merito e le altre cause sospensive previste dal primo comma dell’art. 159 (autorizzazione a procedere, deferimento ad altro giudizio, impedimento delle parti o dei difensori, assenza dell’imputato o rogatoria all’estero), il termine è prolungato per il periodo corrispondente.

Viene modificato anche l’art. 160 c.p. riguardante i casi di interruzione del corso della prescrizione, laddove si aggiunge che anche l’interrogatorio reso alla polizia giudiziaria, su delega del PM, interrompe il corso della prescrizione.

Infine, viene ritoccato l’art. 161 c.p., che disciplina gli effetti dell’interruzione e della sospensione della prescrizione, con una modifica al primo comma, dove si prevede che:

  • l’interruzione ha effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato;
  • la sospensione ha effetto solo per gli imputati nei cui confronti si sta procedendo.

Il secondo comma dell’art. 161 c.p., viene invece modificato stabilendo che, oltre che nei casi di recidiva di cui all’art. 99, secondo comma c.p., l’interruzione della prescrizione non può in nessun caso comportare l’aumento di più della metà del tempo necessario a prescrivere anche per una serie di reati contro la pubblica amministrazione: corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.); corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.); corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.)induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater); corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio ( art. 320); pene per il corruttore (321 c.p.); peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri limitatamente ai delitti già richiamati (art. 322-bis); truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis).

La nuova disciplina della prescrizione, per espressa previsione di legge, si applica ai soli fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge.

La sospensione della prescrizione nella c.d. legge spazzacorrotti (legge n. 3 del 2019).

 La legge n. 3 del 2019, non modifica l’assetto complessivo della disciplina della prescrizione, ma interviene sugli artt. 158, 159 e 160 del codice penale, relativamente al decorso del termine di prescrizione del reato, oggetto di modifiche tanto sul dies a quo quanto sul dies ad quem.

In particolare:

  • con riguardo alla decorrenza del termine di prescrizione per il reato continuato il termine di decorrenza viene fissato al giorno di cessazione della continuazione;
  • si stabilisce (sostituendo il secondo comma dell’ 159 c.p.) che, a partire dal 1° gennaio 2020, il corso della prescrizione viene sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzioneo dal decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto;
  • viene abrogato (per evidenti esigenze di coordinamento con quanto previsto dal nuovo secondo comma dell’art. 159), a partire dal 1° gennaio 2020, il primo comma dell’art. 160 c.p. che individuava come cause di interruzione del corso della prescrizione la pronuncia della sentenza di condanna o il decreto penale di condanna.

La legge n. 3 del 2019 ha fissato al 1° gennaio 2020 l’entrata in vigore della disciplina della prescrizione introdotta dai novellati articoli 158, 159 e 160 del codice penale.

Studio Legale Liberatore (Avv. Domenico Liberatore)